Le parole che non ti ho detto
Quando avere fretta prende il sopravvento sul tempo, il nostro tempo, è un brutto segno. Quando una civiltà perde il rispetto per il sacro, è un brutto segno. Un bruttissimo segno. Quando neppure a un bambino è concesso di sognare, perchè non c'è tempo, allora è proprio finita.
Che cosa stiamo diventando, se non abbiamo più rispetto neppure per i bambini? I bambini sono il nostro passato. Sono quello che eravamo e che non siamo più capaci di essere. Ciò che abbiamo perduto. I bambini sono il futuro. Sono il solo scopo per cui esistiamo: continuare ad esistere. I bambini sono la speranza, la speranza di cambiare. Sono forse il solo motivo valido per cui di fronte al giudizio universale potremmo avere una sola chance di non essere sterminati tutti, di valere ancora qualcosa. I bambini sono sacri.
Chi non ha rispetto neppure per un bambino, non è più un uomo. E non è più una donna.
Non è più niente.
Oggi, internet non gli lascia scampo.
Barbara è la mamma di un angelo biondo. Alexander ha quattro anni e mezzo. E' un tipo taciturno. I dottori lo chiamano autismo, ma le parole sono illusioni. Confondono. Talvolta sarebbe meglio non usarle. A volte ci si capisce meglio e forse anche di più. Alexander ha fame d'amore. E' come un buco nero, assorbe tutto e lo custodisce dentro di sè. E' come una cassaforte: i nostri pensieri, affidati a lui, sono al sicuro. Bisogna fare attenzione a ciò che gli si lascia in custodia, Va selezionato, poichè vi resterà per molto tempo. Questa società ha perso il valore e l'importanza di uno sguardo. E' una società cieca ma ahimè non sorda... nè muta! Le parole di chi non sa guardare nè guardarsi dentro sono vane, inutili, vuote. Vuote di pensieri, vuote di amore, senz'anima. E le parole che si ascoltano non sono niente, solo rumore. E il rumore fa male.
Alexander porta con sè una grande lezione: se non sai bene cosa dire, meglio tacere. Meglio un sorriso. Meglio, piuttosto che tutto questo frastornante vaniloquio.
Per una giornata, per un giorno solo.. vorrei che fossimo tutti autistici. Per tornare, finalmente, a guardarci. Senza parole. Perchè le parole che non ti ho detto, sono sempre quelle giuste.
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