le intuizioni ovvie di claudio messora

lunedì 27 agosto 2007

Accade a MediaWorld

Milano. Inizio agosto 2007. MediaWorld nei dintorni di piazza Napoli.

Entro e curioso un pò.

Mi imbatto nella sezione dei videogiochi usati. Di per sè un mercato doveroso, dato il costo spropositato dei prodotti nuovi.
In realtà il rapporto dei prezzi nuovo/usato dovrebbe essere superiore: spesso non si arriva neppure al 20/30% in meno (emblematico il caso di quelle catene il cui business consiste nell'acquistare e rivendere videogiochi usati. La modestia della cifra risparmiata rispetto al nuovo, a volte meno di dieci euro, anche cinque, su sessanta, è tale per cui non se ne capisce il vantaggio).

Un titolo mi incuriosice, "La battaglia per la terra di mezzo II" per XBOX360. Non perchè mi interessi il gioco, ma perchè ricordo di averlo veduto anche sullo scaffale dei giochi nuovi.
Il prezzo dell'usato: 29.90€.

Mi sorge spontanea una domanda inopportuna: quanto risparmia il consumatore che non può o non vuole permettersi di acquistare il prodotto nuovo?

Dunque... uhm.. vediamo un po'. Dov'era lo scaffale dei videogiochi nuovi?
Ah sì: eccolo qui! Il prezzo del nuovo: ... 21.90€.

Alt! Ma come sarebbe !?
Nuovo costa ben otto euro di meno rispetto all'usato??

Ironia della sorte: questa volta quelli di MediaWorld cadranno vittima degli stessi prodotti che reclamizzano e vendono a costi esorbitanti: i telefonini armati di videocamera.

In questo caso, parafrasando il mondo antico, potremmo dire: Video Canta.



Occhi aperti, cari ragazzi.. La fregatura è dietro l'angolo!

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giovedì 23 agosto 2007

Quanto correva il Tyrannosaurus-Rex


Il Tyrannosaurus Rex non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungere una jeep in velocità, come ci ha mostrato il film Jurassic Park, ma un uomo in corsa non sarebbe riuscito a scampare alle grinfie del bestione. E' questo quanto risulta da un accurato e complesso studio sulla velocità che potevano raggiungere alcuni dinosauri carnivori, realizzato l'Università di Manchester utilizzando un potente supercomputer.

Gli animali presi in considerazione vanno dal piccolo Compsognathus che pesava circa 3 chilogrammi al gigantesco T-Rex, del peso di 6 tonnellate. La ricerca, che è stata pubblicata su Proceedings of the Royal Society Biological Sciences, ha dato modo di scoprire con nessun dinosauro carnivoro ce l'avrebbe fatta a raggiungere e superare il "beep-beep" dei dinosauri, che è proprio il Compsognathus, che era in grado di toccare i 64,1 chilometri all'ora. In un'eventuale corsa tra dinosauri, a ruota di quest'ultimo, ma ben distanziato, si sarebbe incontrato il Velociraptor a 38,9 km/ora. Poi ecco il Dilophosaurus a 37,8 km/ora, l'Allosaurus a 33,8 Km/ora e infine il Tyrannosaurus, a 28,8 km/ora, poco più della velocità dell'uomo (28.4).

Tra i bipedi attuali, lo struzzo, oggi l'animale a due gambe più veloce al mondo, sarebbe riuscito a sfuggire da quasi tutti i dinosauri perché è in grado di correre a 55,4 km/ora.

Per raggiungere questi risultati l'Università inglese ha creato un team di ricercatori a cui hanno fatto parte un biomeccanico, Bill Sellers e un paleontologo, Phil Manning, i quali hanno fuso le loro conoscenze che poi sono state elaborate dal supercomputer.

Manning ha ricostruito la struttura scheletrica dei dinosauri, mentre Sellers quella muscolare, il supercomputer infine, ha elaborato i diversi modi con i quali i muscoli venivano sollecitati durante la corsa.
Nonostante che il computer avesse 256 processori ha impiegato una settimana di lavoro per calcolare la velocità di ciascun dinosauro.

Al supercomputer è stato chiesto di valutare anche la velocità massima di corsa di un uomo normale e il calcolatore ha stimato un valore estremamente vicino alla realtà.

Fino ad oggi per tentare di risalire alla velocità dei dinosauri si partiva dal modo con il quale corrono le galline o gli struzzi e facendo le debite proporzioni si desumeva quale poteva essere la velocità dei rettili del passato. "Purtroppo i dinosauri non hanno un struttura simile a quella dei due volatili terrestri e dunque i risultati risultavano incorretti. E la velocità del Compsognathus, il più vicino ad una gallina per dimensioni, ci dice quanto errati erano i risultati precedenti", spiega Sellers.

Secondo i ricercatori, il lavoro è il più preciso mai eseguito per capire realmente quanto veloci potevano essere quei rettili del passato. Sottolinea Manning: "La nostra ricerca, che ha utilizzato la minima massa muscolare delle zampe dei vari animali, ci ha confermato che il T-Rex ad esempio, non viaggiava molto veloce, ma certamente era in grado di correre e non avrebbe avuto difficoltà a raggiungere un giocatore di calcio come, ad esempio, David Beckham".

I ricercatori ora vogliono ricostruire la velocità di animali quadrupedi del passato, ma è un'operazione assai più complessa e per ciascuno di essi il computer potrebbe richiedere anche un mese di lavoro.

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Woody Allen: Io e Bergmann


La notizia della morte di Bergman l'ho ricevuta a Oviedo, una graziosa cittadina nel nord della Spagna dove sto girando un film. Il messaggio telefonico di un amico comune mi è stato recapitato sul set. Bergman mi disse una volta che non voleva morire in una giornata di sole e poiché non ero presente, posso solo sperare che abbia avuto quel tempo piatto nel quale lavorano al meglio tutti i registi.

L'ho detto già in passato a persone che hanno un'idea romantica degli artisti e che considerano la creazione artistica qualcosa di sacro: alla fine, l'arte non ti salva. Non importa quanto sublimi siano le opere che realizzi (e Bergman ci ha dato un menù di sbalorditivi capolavori del cinema), non ti proteggeranno dal fatale bussare alla porta che interrompe il cavaliere e i suoi amici alla fine de Il settimo sigillo. E così, in una giornata di luglio, Bergman, non è riuscito a rimandare il suo inevitabile scacco matto e il miglior cineasta dei miei tempi se n'è andato.

Qualche volta ho scherzato dicendo che l'arte era come il cattolicesimo degli intellettuali, forniva il desiderio di intravedere una vita dopo la morte. Ma per come la vedo io, è meglio continuare a vivere nel proprio appartamento che nei cuori e nelle menti del pubblico.

Ed è certo che i film di Bergman continueranno a vivere e a essere visti nei musei e in televisione e venduti in Dvd. Ma, conoscendolo, questa non poteva che essere una magra consolazione e sono sicuro che avrebbe barattato con piacere ognuno dei suoi film per un ulteriore anno di vita. Ciò gli avrebbe dato altri sessanta compleanni per continuare a realizzare film. E non ho dubbi che è così che avrebbe impiegato il tempo guadagnato: facendo ciò che amava fare più di qualsiasi altra cosa, girare dei film.

A Bergman piaceva il processo della realizzazione. Gli importava molto meno la risposta che i suoi film suscitavano. Gli faceva piacere che si apprezzasse il suo lavoro, ma una volta mi disse: "Se il mio film non piace, ciò mi crea problemi... per circa 30 secondi". Non gli interessavano i risultati al botteghino, anche se i produttori e i distributori lo chiamavano regolarmente comunicandogli gli incassi dei weekend: quei numeri gli entravano da un orecchio e gli uscivano dall'altro. Diceva: "Verso la metà della settimana, i loro pronostici follemente ottimistici si saranno ridotti a niente". Il plauso della critica gli faceva piacere, ma non ne aveva bisogno nemmeno per un secondo e se è vero che ci teneva che gli spettatori si godessero il suo lavoro, è altrettanto vero che non sempre li aiutava.

Eppure, i suoi film più difficili da decifrare ben valevano lo sforzo. Per esempio, quando si capiva che le due donne de Il silenzio sono soltanto due aspetti in lotta di un'unica donna, questo enigmatico film si apriva in tutto il suo fascino. Oppure, avere fresca in mente la filosofia danese prima di vedere Il settimo sigillo o Il volto certamente avrebbe aiutato, ma il talento di Bergman nel raccontare storie era talmente straordinario che riusciva a incantare gli spettatori anche con un materiale difficile. Mi è capitato spesso di sentire dire dalle persone che avevano visto un suo film: "Non ho capito esattamente quello che ho appena visto, ma ogni singolo fotogramma mi ha tenuto aggrappato al bordo della poltrona".



Bergman restava devoto al teatro - era anche un grande regista di teatro - ma il suo lavoro cinematografico non ha tratto idee soltanto da lì; lui ha attinto alla pittura, alla musica, alla letteratura e alla filosofia. Il suo lavoro ha indagato le ansie più profonde degli uomini, dando spesso un inusitato spessore a queste poesie di celluloide. Morte, amore, arte, il silenzio di Dio, la difficoltà dei rapporti umani, l'agonia del dubbio religioso, i matrimoni falliti, l'incapacità delle persone di comunicare tra loro.
Ma era una persona calorosa, divertente, con un carattere scherzoso, insicura di fronte ai suoi immensi talenti e che stava bene con le donne. Incontrarlo non voleva dire entrare repentinamente nel tempio creativo di un genio formidabile, oscuro, meditabondo e che incuteva soggezione con profonde e complesse riflessioni, espresse con accento svedese, sullo spaventoso destino dell'uomo in un desolato universo. Tutt'al più poteva uscirsene così: "Woody, ho fatto ancora quello stupido sogno in cui mi presento sul set per girare e non riesco a decidermi su dove collocare la macchina da presa; il fatto è che è una cosa che ormai so fare abbastanza bene e che faccio da anni. Ti capita mai di fare questi sogni ansiosi?" Oppure: "Pensi che sarebbe interessante girare un film dove la cinepresa non si muove neanche di un centimetro mentre gli attori entrano ed escono dall'inquadratura? Oppure farebbe ridere la gente?".

Cosa si risponde al telefono a un genio? Non mi pareva che quella fosse una buona idea, ma sono convinto che nelle sue mani sarebbe potuta diventare qualcosa di speciale. Dopotutto, anche il vocabolario da lui inventato per indagare la profondità della psiche degli attori sarebbe apparso ridicolo a chi studiava cinematografia. Nelle scuole di cinema (fui cacciato dalla New York University abbastanza presto quando studiavo per la specializzazione negli anni Cinquanta) l'enfasi era sempre sul movimento. Queste sono immagini in movimento, si insegnava agli studenti, e la macchina da presa dovrebbe muoversi. E i professori avevano ragione. Ma quando Bergman collocava la macchina da presa fissa sul volto di Liv Ullmann o di Bibi Andersson e lì la lasciava e non la spostava e il tempo passava, allora accadeva qualcosa di strano e meraviglioso, dovuto solo alla sua genialità. Lo spettatore era preso dal personaggio e nessuno si annoiava. Al contrario, si era entusiasti.

Bergman, con tutte le sue idiosincrasie e ossessioni filosofiche e religiose, aveva un senso innato per raccontare le storie e quindi era inevitabile che fosse in grado di intrattenerti anche quando nella sua mente era intento a sceneggiare le idee di Nietzsche o di Kierkegaard. Ero solito restare a lungo al telefono con lui. Erano telefonate dall'isola in cui viveva. Non accettavo i suoi inviti per andare a trovarlo perché viaggiare in aereo non mi piaceva. Inoltre non avrei apprezzato un volo su un minuscolo aeroplano con il quale avrei raggiunto un puntino vicino alla Russia per quello che immaginavo sarebbe stato un pranzo a base di yogurt. Parlavamo sempre di film e naturalmente lasciavo parlare lui la maggior parte del tempo, perché sentivo che era un privilegio ascoltare i suoi pensieri e le sue idee. Lui proiettava per sé un film ogni giorno e i film non si stancava mai di vederli. Di ogni tipo, muti e sonori. Per addormentarsi guardava una cassetta di quel tipo di cinema che non lo costringeva a pensare e che lo aiutava a rilassarsi dall'ansietà, qualche volta un film di James Bond.

Come tutti i grandi maestri del cinema - Fellini, Antonioni o Buñuel, per esempio - Bergman ha avuto i suoi critici. Ma se si escludono dei lapsus occasionali, i film di questi artisti hanno colpito profondamente milioni di persone in tutto il mondo. In effetti, sono coloro che meglio conoscono il cinema, coloro che lo fanno - registi, sceneggiatori, attori, direttori della fotografia, montatori - a provare il maggior rispetto per il lavoro di Bergman.

Poiché per decenni ho cantato le sue lodi tanto entusiasticamente, quando è scomparso mi sono arrivate richieste di commenti o interviste. Come se avessi avuto qualcosa di efficace da aggiungere alla triste notizia, se non proclamare semplicemente la sua grandezza. Mi è stato chiesto quale era stata per me la sua influenza. Come avrebbe potuto influenzarmi? Ho risposto: lui era un genio e io non sono un genio, e la genialità non può essere insegnata.
Quando Bergman iniziò a essere conosciuto nelle cineteche di New York come un grande autore cinematografico, io ero un giovane commediografo e un comico di night-club. Si può subire l'influenza di Groucho Marx e di Ingmar Bergman? Una cosa sono riuscito ad apprendere da lui, qualcosa che non dipende dalla genialità e nemmeno dal talento, qualcosa che può essere nei fatti imparata e sviluppata. Parlo di ciò che spesso si chiama con poca precisione etica del lavoro, ma che in realtà è semplice disciplina.

Ho imparato dal suo esempio a cercare di fare il meglio possibile in un dato momento, senza cedere all'assurdo mondo dei successi e dei flop, senza rassegnarsi a entrare nello sfavillante ruolo del regista, realizzando invece un film per poi passare a quello successivo. Bergman ha girato nella sua vita circa 60 film, io ne ho girati 38. Se non posso raggiungere la sua qualità, forse potrò avvicinarmi alla sua quantità.

Copyright The New York Times Syndicate. Traduzione di Guiomar Parada

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