Lettera a Clemente Mastella
Pubblico questa lettera scritta all'onorevole Clemente Mastella, in risposta al suo post nel quale si solleva da ogni responsabilità per le morti provocate dai criminali liberati dall'indulto.
Egregio senatore,
è parso chiaro a tutti gli italiani che liberare dalle carceri delinquenti acciuffati a volte dopo anni di duro lavoro da parte delle forze dell'ordine (come nel caso dei malavitosi di Quartoggiaro), non rappresentasse una soluzione al sovraffollamento delle carceri, non più di quanto licenziare chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato possa essere la soluzione al precariato.
Se mancano le carceri, si costruiscano carceri nuove. Abbiamo finanziarie per questo; si sprecano talmente tanti soldi che qualche casa circondariale in più non sposterebbe di una virgola il disavanzo.
Così, mentre resta chiaro a tutti che c'era uno scopo non dichiarato al cosiddetto indulto, vorrei farla riflettere su un particolare.
La legge punisce chi è in possesso di prove riguardanti il colpevole di un crimine, e in maniera reticente le cela. Chi permette ad un criminale di restare a piede libero nonostante sia in possesso di prove determinanti, è considerato suo complice e come tale va punito.
A maggior ragione questo vale per chi rimette in circolazione un criminale condannato, perchè in quel caso le prove sono molto di più: sono già state tramutate in una sentenza di colpevolezza. Sono prove "provate".
Quindi, ricapitoliamo: se io non fornisco le prove di un atto criminoso, non contribuendo in tal modo ad incastrare ed imprigionare un sospetto, sono un criminale io stesso.
Ma se io, nonostante abbia ormai le prove in mano, deliberatamente decido di scarcerarlo, di "farlo evadere", non sono considerato complice e neppure responsabile del suo comportamento successivo.
Malavitosi che miracolosamente erano stati messi in condizione di non nuocere, dopo anni di spesa pubblica sostenuta per condannarli, sono stati rimessi deliberatamente in circolazione. La responsabilità di chi sarebbe: dei secondini che hanno aperto le porte delle celle? O forse neppure loro, ma delle loro mani che hanno impugnato le chiavi e le hanno arbitrariamente inserite nella toppa della serratura?
Non è forse la mente che presiede ad un atto volitivo del corpo?
E non è forse la mente collettiva di uno stato, ovvero il governo, che impartisce alla mano-secondino di scarcerare un delinquente?
Dunque il governo ha sulle sue spalle la responsabilità delle morti innocenti provocate dagli effetti dell'indulto, un atto di sconsideratezza firmato a svantaggio di molti, per il bene di pochi.
Saluti,
Claudio Messora
Egregio senatore,
è parso chiaro a tutti gli italiani che liberare dalle carceri delinquenti acciuffati a volte dopo anni di duro lavoro da parte delle forze dell'ordine (come nel caso dei malavitosi di Quartoggiaro), non rappresentasse una soluzione al sovraffollamento delle carceri, non più di quanto licenziare chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato possa essere la soluzione al precariato.
Se mancano le carceri, si costruiscano carceri nuove. Abbiamo finanziarie per questo; si sprecano talmente tanti soldi che qualche casa circondariale in più non sposterebbe di una virgola il disavanzo.
Così, mentre resta chiaro a tutti che c'era uno scopo non dichiarato al cosiddetto indulto, vorrei farla riflettere su un particolare.
La legge punisce chi è in possesso di prove riguardanti il colpevole di un crimine, e in maniera reticente le cela. Chi permette ad un criminale di restare a piede libero nonostante sia in possesso di prove determinanti, è considerato suo complice e come tale va punito.
A maggior ragione questo vale per chi rimette in circolazione un criminale condannato, perchè in quel caso le prove sono molto di più: sono già state tramutate in una sentenza di colpevolezza. Sono prove "provate".
Quindi, ricapitoliamo: se io non fornisco le prove di un atto criminoso, non contribuendo in tal modo ad incastrare ed imprigionare un sospetto, sono un criminale io stesso.
Ma se io, nonostante abbia ormai le prove in mano, deliberatamente decido di scarcerarlo, di "farlo evadere", non sono considerato complice e neppure responsabile del suo comportamento successivo.
Malavitosi che miracolosamente erano stati messi in condizione di non nuocere, dopo anni di spesa pubblica sostenuta per condannarli, sono stati rimessi deliberatamente in circolazione. La responsabilità di chi sarebbe: dei secondini che hanno aperto le porte delle celle? O forse neppure loro, ma delle loro mani che hanno impugnato le chiavi e le hanno arbitrariamente inserite nella toppa della serratura?
Non è forse la mente che presiede ad un atto volitivo del corpo?
E non è forse la mente collettiva di uno stato, ovvero il governo, che impartisce alla mano-secondino di scarcerare un delinquente?
Dunque il governo ha sulle sue spalle la responsabilità delle morti innocenti provocate dagli effetti dell'indulto, un atto di sconsideratezza firmato a svantaggio di molti, per il bene di pochi.
Saluti,
Claudio Messora
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